Paolo Liverani

Problemi di (s)fondo

Le recenti analisi della superficie del monumento dell’Ara Pacis e dei frammenti conservati in magazzino hanno restituito evidenze sicure, benché esili, di colore sul monumento. Questo contribuisce a cambiare profondamente le nostre idee nei confronti di un simbolo del neoclassicismo augusteo e più in generale nei confronti della scultura e dell’architettura romana.

L’esiguità dei resti conservati non permette di andare oltre la formulazione di ipotesi ricostruttive generali, ma sembra importante porre il problema dello sfondo dei rilevi. Questo è infatti un colore che domina la raffigurazione e imposta la percezione estetica dell’immagine. Tuttavia, trattando il tema in maniera generale, sembra possibile riconoscere al colore dello sfondo una funzione significativa nel sistema semantico dell’arte romana. Il problema dello sfondo è stato affrontato per l’età arcaica da Elena Walter Karydi con importanti risultati, ma la situazione in età ellenistica e romana pare articolarsi ulteriormente. In questo periodo appaiono anche scene che si stagliano su fondi chiari di varie tonalità, benché per alcuni tipi di rappresentazioni, specie di rilievi architettonici, il colore scuro (blu o nero) resti il favorito. Ciò è evidente per esempio nelle Tombe Macedoni della fine del IV sec. e, nonostante sia necessario un censimento assai più sistematico di quello che può essere presentato nel convegno, sembrerebbe che gli sfondi chiari e quegli scuri differenzino due generi espressivi e due tradizioni.

In via di ipotesi si potrebbe dire che gli sfondi chiari si adattino maggiormente a scene di tradizione ellenistica e siano più adatti a scenari narrativi e paesaggistici, mentre quelli scuri in età romana sembrano legati a funzioni di rappresentanza. Lo si vede con facilità negli sfondi dei fregi vegetali, ma anche nei fregi e frontoni templari. In età augustea e giulioclaudia se ne possono citare alcuni (terrecotte architettoniche del Tempio di Apollo Palatino, cd. Ara dei Vicomagistri, parete di fondo dell’Aula del Colosso al Foro di Augusto), ma anche in epoche successive esistono diversi esempi che arrivano fino all’età tardoantica.

In questa prospettiva, dunque, il blu non sarebbe un colore naturalistico, ma possiederebbe piuttosto una connotazione monumentale, classica, ufficiale. Il vero cambiamento di tradizione si avrebbe solo in età paleocristiana quando gli ultimi fondi blu nei mosaici e negli affreschi absidali del IV e V secolo cedono il passo ai fondi d’oro.

Paolo Liverani

Università di Firenze